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Intervista all’ex lottatore Franco Bergonzi

Intervista all’ex lottatore Franco Bergonzi

Mattia Belloni, un nostro simpatizzante, ha approfittato della sua conoscenza personale di Franco Bergonzi, un ex lottatore della Pavese, per realizzare questa intervista che pubblichiamo integralmente.

A Mattia e Franco un grandissimo ringraziamento per questo lavoro.

 

1958-1970

Dodici anni indimenticabili vissuti alla Ginnastica Pavese

Intervista a Franco Bergonzi

Molti sono i nomi di spicco che hanno segnato tappe importanti nella storia della Lotta greco-romana pavese: Igino Fedegari, Natale Rangon, Francesco Filipponi, sono sicuramente quelli più conosciuti. Altri atleti, invece, sono meno noti, nonostante abbiano ottenuto risultati significativi a livello locale e nazionale. Franco Bergonzi è uno di loro. Della sua passione per questa disciplina sono venuto a conoscenza quasi per caso, quando mi disse di aver visitato il sito della Società di Ginnastica Pavese, sezione Lotta greco-romana, apprendendo come, ancora oggi, qualcuno presti attenzione a questa disciplina che ha segnato profondamente gli anni della sua giovinezza. Classe 1941, campione lombardo in Lotta libera e greco-romana, atleta prima e allenatore poi, Bergonzi è stato insignito nel 1967 del premio “Miglior Atleta Pavese”. I suoi ricordi, che ho raccolto in questa piccola intervista, costituiscono una testimonianza preziosa che dà un’idea di cosa significasse praticare la Lotta greco-romana tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni ’70.

 

Quando è iniziata la tua formazione nella Lotta greco-romana e chi sono le figure che hanno segnato maggiormente il tuo percorso in quegli anni?

Sono stato tesserato nel 1958 dal mio presidente Giovanni Grassani, un personaggio che non solo la “Ginnastica Pavese”, ma tutta la Pavia sportiva dovrebbe amare per la sua dedizione allo Sport.
Lo ricordo perennemente alla scrivania, il più delle volte solo, circondato da numerose coppe e trofei, intento a scrivere appunti. Vi assicuro, un personaggio mitico.
Il mio primo ed unico istruttore fu il milanese Luigi Reina. Per me e per i miei compagni è stato un secondo padre. Da lui, infatti, non abbiamo appreso solo la tecnica e le regole della lotta; ci insegnò anche e, soprattutto, a fare squadra, perché nello sport, da soli, non si va da nessuna parte.

Franco Bergonzi, in ginocchio, a sinistra della coppa.

Franco Bergonzi, in ginocchio, a sinistra della coppa.

Cosa voleva dire praticare la lotta greco-romana in quel periodo?

Quando ho iniziato, per la Lotta pavese erano tempi difficili. Poche le presenze giovanili, poco allettante la palestra: un piccolo locale, privo di riscaldamento – in verità una stufa c’era, ma senza legna. Ad ogni temporale, il lato sinistro del materassino si inondava a causa di una perdita del tetto e nel corso degli allenamenti cercavamo di evitare le cadute dove si formavano le pozzanghere. Spesso d’inverno abbiamo fatto la doccia al gelo perché il boiler non funzionava. Questa descrizione un po’ cruda serve in parte a giustificare il continuo andirivieni di nuovi tesserati che rimanevano in palestra due o tre mesi, poi si volatilizzavano per colpa dell’ambiente spartano o dopo il primo incontro perso. Molti volevano ottenere dei risultati immediati, senza faticare troppo. Ma per imparare qualcosa nella Lotta greco-romana ci vogliono almeno due anni costellati di sacrifici, che solo una forte passione può aiutare a sostenere.

 

In mezzo a tutte queste “meteore”, però, c’erano degli atleti importanti…

Certo, fra loro ricordo in particolare due figure. Il primo è Tullio Manera, soprannominato la Vecchia Volpe, per la sua celebre astuzia che gli consentiva di avere la meglio nei combattimenti anche in età avanzata. L’altro è Luciano Dibitetto, che a mio parere non ha sfruttato al meglio il suo fisico da gladiatore. Erano pochi però i giovani animati da una vera passione, così in più di un’occasione si è temuto di chiudere. Ricordo che tante volte il maestro Reina non riusciva a combinare gli allenamenti per mancanza di accoppiate, ma lui, armato di una dedizione a dir poco mirabile, non mancava mai ad un allenamento.

 

La generazione di lottatori a cui appartieni ha costituito un punto di svolta. A cosa ritieni sia dovuto questo successo?

Sicuramente alla dedizione e allo spirito di squadra. Tutte cose che il nostro maestro ci aveva insegnato. Avevamo affrontato tanti sacrifici e dopo due anni di esperienza e di duri allenamenti, si era formato un gruppo, compatto e affiatato. Oltre a me c’erano, Peppino Fazzini, Antonio Uggetti, Ivo Dioli, Giovanni Lazzari, Antonio Pedrazzini, Adriano Preti. Tutti insieme, eravamo l’orgoglio di Luigi Reina e, in seguito, per la nostra passione sportiva ci avrebbero soprannominato gli “Irriducibili”.

Franco Bergonzi, insieme ad Antonio Pedrazzini, durante un allenamento.

Franco Bergonzi, insieme ad Antonio Pedrazzini, durante un allenamento.

Mi hai detto che lo spirito di squadra era fondamentale. Ogni atleta, però, aveva le sue particolarità. Quali erano le caratteristiche specifiche dei singoli componenti del vostro gruppo?

Sì è vero. Ognuno di noi aveva un suo particolare talento. Di Fazzini devo per forza ricordare, oltre ai numerosi successi, la sua smisurata passione per la lotta. Dioli era il nostro fiore all’occhiello. Riuscì infatti, a far ottenere alla squadra il secondo posto a Chiavari nei Campionati Italiani Stile Libero: un secondo posto che meritava qualcosa di più visto che Dioli, per giungere alla finale, aveva dovuto battere ben otto avversari. Anche Pedrazzini e Uggetti erano ottimi atleti. Lazzari, infine, fu campione lombardo di Lotta greco-romana e vincitore di diversi tornei.
Ho voluto elencare in primis questi nomi, perché, a mio giudizio, sono i più meritevoli della rinascita pavese. Classificati al secondo posto dei campionati italiani a squadre. Nonché sempre a squadre vincitori con un secco 9/1, inflitta alla squadra Inzani-Parma. Riuscimmo anche a battere la corazzata milanese dei pompieri, squadrone di veri professionisti, nelle cui fila di solito si trovavano quattro o cinque campioni d’Italia.
Visti questi successi, la società ci aveva gratificato con un locale nuovo per allenarci, dove vigeva un regolamento semplice ma inderogabile: niente fumo, capelli corti e l’ultimo iscritto aveva l’obbligo di pulire il materassino e il locale, prima di lasciare la palestra.
Nel corso della seconda metà degli anni ’60, il numero degli atleti iniziò a crescere. Fra loro ricordo soprattutto Antonio Giardini, Adriano Preti e Franco Terenzi: sono stati gli altri componenti che hanno contribuito al secondo posto in campo nazionale. Giardini è stato sicuramente il miglior peso mosca pavese, specialista in souplesse, colpo che gli ha fruttato molte vittorie. Preti era un atleta perfetto. Metodico, sempre presente in palestra, il suo stile ricordava molto Tullio Manera. È riuscito in un’impresa che non sono mai riuscito a compiere: battere il campione italiano Taglietti..
L’unico rimpianto è stato di non averlo seguito per un altro paio d’anni; esperienza che sicuramente avrebbe aperto le porte a qualunque risultato. Di Terenzi, voglio ricordare un episodio che fa storia. Dovendo affrontare un avversario molto più pesante, si prese paura e disse di non voler combattere e fuggì negli spogliatoi, con l’intento di rinunciare all’incontro invece di dirigersi al quadrato.
Alla fine, con un po’ di spintoni e qualche sberla siamo riusciti a ridestare il suo spirito guerriero. Affrontò il suo avversario e … vinse l’incontro!

 

Prima hai detto di aver allenato Terenzi. Colgo lo spunto per introdurre un’altra fase della tua esperienza nella Lotta greco-romana, quella, appunto, di allenatore. Come è cominciata?

A metà strada di questa esperienza bellissima, la morte Luigi Reina ci aveva gettati nello sconforto. Poco prima della sua scomparsa, mi obbligò, sotto giuramento, a completare la sua opera. Accettazione obbligata perché ero sicuro che Ivo Dioli e Antonio Uggetti mi avrebbero dato una mano.
La palestra, inoltre, viste le difficoltà cui andavo incontro, mi aveva fatto affiancare da Giacomo Rossi, uno dei più qualificati tecnici lombardi, che allora era allenatore della corazzata dei Pompieri, squadra che poi, come ho accennato, io e gli “Irriducibili” siamo stati in grado di sconfiggere. Grazie ai suoi insegnamenti, siamo riusciti a raggiungere risultati impensabili. La vittoria dei campionati italiani di Francesco Filipponi è stato sicuramente il culmine del successo. Ricordo ancora la festa che il suo paese d’origine, Arena Po, gli organizzò per l’occasione, con una bellissima tavolata, presenti tutti i membri del Comune e della Società di Ginnastica Pavese.
Altro arrivo molto gradito è stata la presenza di uno dei più prestigiosi lottatori che l’Italia abbia avuto, Ignazio Fabbra, Campione del Mondo di Lotta greco-romana, che ha frequentato la nostra palestra per allenarsi in attesa che la Federazione lo chiamasse ai Mondiali. La sua presenza ha arricchito la nostra preparazione con dei colpi che solo i fuoriclasse sanno sfoggiare.
Altro campione del mondo che ci ha onorato della sua presenza è stato Vincenzo Grassi, un campione napoletano che della lotta aveva fatto la sua professione.

Franco Bergonzi, in veste di allenatore, di fianco a Giovanni Grassani.

Franco Bergonzi, in veste di allenatore, di fianco a Giovanni Grassani.

Come mai hai smesso di praticare questo sport?

Ho lasciato per lavoro. Purtroppo con un’ azienda ben avviata da portare avanti non riuscivo più a trovare il tempo necessario per dedicarmi nel migliore dei modi alla disciplina. Giovanni Grassani, dopo qualche tempo mi chiamò per offrirmi un posto di allenatore retribuito. Io però rifiutai. Avrei allenato la squadra gratuitamente, ma gli impegni che la mia attività lavorativa richiedeva erano molti. Così ho preferito spegnere l’interruttore, come sono solito fare.

 

Quali sono le cose che ricordi con più orgoglio di quegli anni?

Sicuramente, da un punto di vista sportivo, la vittoria ottenuta sia come allenatore sia come componente della squadra sulla celebre corazzata milanese dei pompieri. Questo lo posso considerare davvero un vanto. Da un punto di vista umano, invece, la cosa più bella e che mi ha formato di più è stato certamente lo spirito di gruppo. Eravamo come fratelli e ci aiutavamo nello sport e nella vita. Spesso, al termine degli allenamenti, andavamo in bicicletta a Ticino, alla Baia del Re, dove c’era un bellissimo trampolino. A volte tornavamo anche alle due di notte. Forse ho divagato un po’, però penso che sia servito a raccontare lo spirito che si era creato in quel periodo. Una vera fratellanza che oggi è difficile da ritrovare…

Inseparabili...

Inseparabili…

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